Giorgio Carrozzini

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Valerian e la città dei mille pianeti - Di Luc Besson

Tragico. Qualcuno già lo annunciava come un flop e così è stato. Gli incassi al botteghino sono una tristezza da primato epico con un break point fissato a 400 milioni di Euro è arrivato a mala pena ad incassarne la metà.

Vai a vedere un film di Luc Besson e ti aspetti qualcosa di impegnato. “Valerian e la città dei mille pianeti” è un film tratto dall’omonima grafic novel di Pierre Christin e Jean-Claude Mézières pubblicato nientemeno che nel 1967. Cosa ha mantenuto di quegli anni? Neppure il tratto grafico del fumetto.

Gli attori sono scialbi, virginali e decisamente troppo laccati. I personaggi tutti stonano completamente con le atmosfere da multiverso polimorfico dei "Mille Pianeti". Non vogliamo fare un ingiusto ma certamente appropriato confronto con il bar a Mos Eisley su Tatooine dove razze diverse si incontrano e si scontrano. Si chiama coerenza e non è vissuta necessariamente sul filo della narrazione isterica e ultraveloce.

Il tono della narrazione oscilla: passiamo da un tono new-age veicolato dall’atmosfera olistica del pianeta dei Pearl alla leggerezza delle battute medio borghesi appositamente ideate per svegliare lo spettatore addormentato in sala.

Non possiamo continuamente rimanere attratti dalla saga supereroistica capace dei infonderci coraggio speranza ed allegria. Ma mica è obbligatorio per far funzionare la storia, lo dimostrano i supereroi negativi.

Se nella vita ci muoviamo fra la paura e il desiderio strumenti narrativi come il dramma e la tragicità fanno da veicolo narrativo per sondare in profondità spirituali umane. Non c’è nulla di tutto questo nel film di Luc Besson.

Ancor più importante considerando che questo primo capitolo della saga di Valerian è incentrato su un tema importante, tanto futuristico quanto attuale, il genocidio di un’intera popolazione i “Pearl”.

 

MAPPORCALAMISERIA non è possibile affrontare un tema di questa portata con il linguaggio dei film disneyani del sabato sera dedicati alla famiglia.

Parliamo delle scelte di Luc Besson nel film di Valerian

Prima di tutto se non ti sei fumato il cervello con gli allucinogeni e con gli effetti speciali da baraccone ottocentesco dovresti pensare che un film non si può reggere solo basato sugli effetti speciali. Gli effetti speciali non sono il fine ultimo ma solo strumento della comunicazione atto a veicolare significati. Ma dove sono questi significati?

Se sei davvero un registra e non un venditore di tappeti persiani quando parli di “genocidio” dovrai pur dare una connotazione drammatica ai punti salienti del film. Eppure il Besson ha scelto di parlare di genocidio facendo con un brutale downgrade dei significati mettendo piuttosto al centro l’ingranaggio della meccanica investigativa.

Non ci sono dubbi che gli effetti speciali sono fenomenali, qualcosa di simile lo avevamo visto nel molto più divertente “I Guardiani della Galassia” ma gli scopi sono completamente diversi. Da vedere essenzialmente al cinema perché visto sul più grande televisore domestico non renderebbe lo stesso “piacere-pacchetto-di-caramelle-colorate-multigusto”.

Vedere sul piccolo schermo un il film di Valerian è come bersi un buon bicchiere di vino Sautern da 1500 euro sgranocchiando un pacchetto di patatine del supermercato.

Valerian risulta un film pieno di dissonanze e questo certamente disturba. Personalmente non ho tempo da perdere e quando vedo un film di un “regista” blasonato mi aspetto di trovare una coerenza di fondo che non ho trovato.

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